Rispetto al discorso tenuto a Washington nel 1963 da Martin Luther King, quello tenuto nei giorni scorsi dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg, alle Nazioni Unite, segna un passaggio epocale, analogo a quello sancito dal famoso “I have a dream”.
Se il primo, infatti, ha significato l’ apice di una svolta per la conquista definitiva dei diritti civili negli Stati Uniti, il secondo sancisce il passaggio generazionale da un etica antropocentrica e da un idea di diritto limitata ai soli umani, ad un nuovo genere di diritti e di sensibilità estese alle foreste, al clima, agli oceani, alle biodiversità e a tutte le entità che abitano e compongono la biosfera.
La generazione di Greta non solo ha posto con determinazione la questione ambientale e quella della insostenibilità del modello di sviluppo, ma ha iniziato a mettere in discussione la nostra idea di società, mettendone in discussione la sua morfologia originaria e il suo principale presupposto: la sua esclusiva composizione umana.
Il mondo che abitiamo non è più la polis, né quello degli stati politici nazionali. Le reti digitali e le architetture di connessione (internet of things, sensori, big data, piattaforme etc.) hanno iniziato a dare voce ai non umani e a metterci in dialogo con i diversi tipi di superfici che fino a ieri consideravamo oggetti inanimati o materie prime.
I migliaia di giovani che protestano in tutte le strade del mondo sono nativi digitali, connessi non solo ai social network ma a reti di interazioni sempre più complesse. Non si iscriveranno a partiti politici, non aspireranno ad eleggere un candidato ogni quattro anni, ma avranno una percezione ecosistemica dei processi e della governance.
Cosi come il sogno di M.Luther King appariva agli occhi dei ben pensanti di quella generazione insensato e ridicolo, il discorso nervoso di Greta e le manifestazioni senza partiti e senza leader contro i cambiamenti climatici degli studenti, appaiono agli occhi dei benpensanti odierni, frivoli e poco sensati.
La storia non si ripete. Il movimento mondiale dei giovani che disertano le aule e scioperano per gli effetti del nostro modello di sviluppo sull’ ambiente, probabilmente, non sarà un nuovo 68 ma forse sarà qualcosa di molto più forte e più significativo. Potrebbe segnare il passaggio dall’ ontologia della polis e delle forme dell’ abitare antropomorfiche che fondano la democrazia parlamentare e gli stati moderni, a quelle “cosmopolitiche” e connettive delle reti dell’ internet of everything che connettono ogni tipo di superfice: vegetale, animale e minerale. Come osservato da A. Pentland “Siamo sul punto di reinventare ciò che significa essere una società umana”.
Le nuove generazioni, attraverso sensori e le architetture di reti, hanno iniziato ad abitare un nuovo mondo, sviluppando nuove forme di sensorialitá, implementate da un nuovo tipo di pelle, informatizzata, estesa a tutta la biosfera che gli permette di sentire il dolore di ogni specie e di ogni tipo di entitá sofferta in ogni angolo della biosfera. Sono info-vidui, abitano una pelle e un ecologia connettive.
Le recenti costituzioni dell Equador e dell India hanno dato cittadinanza alle foreste, ai fiumi e alle specie che le abitano. In questi giorni alle Nazioni Unite si discuterá di cittadinanza digitale. Forse una nuova fase é iniziata nella quale i processi dei cambiamenti non riguardano piú soltanto gli umani.
Una rete di docenti, ricercatori e entità diverse, ha recentemente sottoscritto un manifesto per la cittadinanza digitale disponibile a questo link
www.cittadinanzadigitale.com.br/