Una delle cose che la pandemia ci ha aiutato a mettere a fuoco è la fine dell’ idea dell’ indipendenza e della autonomia della nostra specie. Idea puerile, che da Socrate a Kant attraversa e caratterizza la storia e il modo di essere dell’ uomooccidentale. Pensiero folle che, visto il cambiamento climatico, ci appare ai nostri giorni finanche pericoloso. Per secoli l’ uomo occidentale ha creduto che era Dio a determinare il bello e il cattivo tempo, a fare la storia e a governare il mondo poi, in seguito all’ illuminismo e alla diffusione del sapere enciclopedico ha pensato che eravamo noi umani, con le nostre idee e attraverso la politica a determinare i cambiamenti e a costruire autonomamente il nostro destino. Il virus ci ha svegliato bruscamente dal sogno e ci ha fatto comprendere rapidamente che la storia non è l’ idea a cavallo di Hegel, ne la lotta di classe di Marx e che il nostro agire, la nostra volontà deve fare i conti con un mondo abitato da altri attori e da altre entità agenti. Oltre ai virus, al clima, alle foreste, agli oceani anche le tecnologie, in passato e oggi i dati, i software, gli algoritmi hanno iniziato ad interagire influenzando il nostro agire attuando in ogni nostra decisione e in ogni tipo de relazione. Luciano Floridi ha definito tale nuova condizione che vede l’ uomo in stretta collaborazione con dati e forme di intelligenza non umane come l’avvento di un nuova era da lui denominata iperstoria. In questa nuova condizione nessuna entità, sia questa umana, animale, algoritmica, vegetale o minerale puo’ essere più considerata autonoma. Come nelle architetture di reti e in ogni ecologia, ogni membro è sempre vincolato e dipendente dall’ agire degli altri. In una rete complessa, fatta di persone, dati, circuiti, software, virus, l’ azione è sempre condivisa ed ogni membro riesce ad agire solo in quanto connesso e influenzato dagli altri co-abitanti e co-cittadini. La comunità che siamo e che abitiamo non è quella descritta da E. Durkheim o da F. Tonnies. ad agire e a decidere non siamo più solo noi umani ma una rete complessa di entità dalle quali dipendiamo o con le quali dobbiamo fare i conti. Le ultime generazioni di reti hanno trasformato la nostra realtà e il nostro mondo in dati. L’ internet delle cose, la diffusione di sensori su ogni tipo di superfice, i Sistemi informativi geografici (G.I.S.) hanno realizzato un processo trasfigurativo che ha alterato ogni superfice in dati mettendola successivamente in rete e in interazione tra loro. Tale processo ha generato una ecologia interattiva in cui i prodotti che compriamo al supermercato, la foresta amazzonica, gli oceani, la temperatura e il livello di precipitazioni sono realta’ in dialogo e in correlazione. Non solo dipendiamo dai dati per agire ma il nostro mondo è il risultato delle molteplici interazioni tra le diverse entità, umane e non, che agiscono insieme a noi e che con le quali co-abitiamo. In questa nuova epoca hiperstorica (L. Floridi) e in questa condizione abitativa simpoietica (D. Haraway) la gestione dei processi di governance e le decisioni, perdono il loro significato etico (umano) per acquisire quello di una architettura relazionale. In una rete complessa, cosi come in una foresta la questione principale non è che decisione prendere, secondo quali valori, ma come si prendono le decisioni e se a tale processo possano partecipare tutti gli attori interessati e tutti i membri che costituiscono la comunità. I Big data, le Blockchain e le piattaforme sono le architetture interattive che permettono la creazione di processi decisionali collaborativi e connettivi. Come ci ricorda I Stengers anche il processo di conoscenza scientifico e la scienza in generale non sono l’ agire dell’ uomo sul mondo, nè appena l’ espressione del suo potere di intelligenza ma la costruzione di connessioni di reti complesse di interazioni tra umani, dati, strumenti, tecnologie, software, piattaforme, virus, batteri, e seuquenze informative di nature diverse, organiche e non.
La nostra realtà prende forma, dunque, attraverso il processo scientifico, mediante una complessa architetture di relazioni che oggi è divenuta visibile e gestibile attraverso dati (database, big data, algoritmi). Il processo di costruzione e significazione della realtà avviene non attraverso una rappresentazione della stessa mediante la lettura dei dati come si realizzava con le grandezze statistiche. I dati digitali non sono dati statistici e quindi non sono rappresentazioni ma sono il risultato di complesse forme di processamento e di automazione (Big data). Oltre ad non essere prodotti da umani ma da sistemi di rivelamento e elaborazione autonomi, i Big data si presentanto come un nuovo tipo di dati che non nascono dalla attribuzione di un numero ad un fenomeno della realtà. I big data non sono dunque dati rappresentativi (Leonelli S. 2020) ne grandezze che si riferiscono ad un fenomeno specifico ma l’ agglomerazione di dati di dati (big data) provenienti da ambiti diversi, risultanti di processamento di ultriori dati. Dato il loro volume e la loro varietà, tali dati non sono visibile e accessibili direttamente dai ricercatori ma vengono a noi attraverso algoritmi, software e interface che ce ne forniscono l’ accesso. Quindi mentre i dati statistici erano costruiti dai ricercatori, descrivevano fenomeni rappresentativi del mondo visibile ed erano grandezze analizzabili attraverso le tecniche statistiche, I big data, oltre ad essere prodotti da sensori, da processatori e, in sostanza, da altri dati e data la loro incalcolabile grandezza, sono accessibili soltanto attraverso dispositivi ed altri attori ai quali rivolgiamo le nostre domande. A differenza dei dati statistici, la dimensione umana dei Big data non risiede nel processo di produzione degli stessi ma nel momento della formulazione del quesito. La forma attraverso la quale è stato possibile in Europa monitorare la diffusione del virus, mediante il monitoraggio degli smartphone che mostravano gli spostamenti e i contatti dei contagiati, dimostra con chiarezza come la comunità, connessa e pandemica non e’ formata dai soli individui. La nostra condizione come la nostra intelligenza non sono più né narurali ne artifciali ma simpoietiche (dal greco sin poiesis co-creazione, co-produzione, co-azione).
(continua)
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